Non so spiegare cosa ho provato oggi sfilando insieme alla delegazione italiana, probabilmente la più numerosa di quelle dei tantissimi Paesi presenti oggi, nel campo di Mauthausen per celebrare l’80esimo anniversario della liberazione di questo campo di orrore e morte, l’ultimo a essere liberato.

È una emozione indescrivibile varcare l’ingresso del campo cantando “Bella Ciao” e sentire migliaia di persone, anche con accenti diversi, che si aggiungevano a noi.

Lo abbiamo fatto a fine mattinata, dopo aver visitato con la delegazione pisana il campo, aver visto altre camere a gas e forni crematori, come era già accaduto in questi giorni negli altri campi, visto la scala della morte, quell’inferno di 186 scalini di fatica, dolore e disumanità. Gradini che uomini distrutti dalla fatica salivano e scendevano portando sulle spalle blocchi di granito pesantissimi. Alcuni cadevano, altri venivano spinti giù. Tutto era pensato per spezzarli. E io, ancora una vota, mi sono chiesta: “Come è stato possibile?”

La stessa domanda che mi sono fatta osservando il tavolo di vivisezione ancora conservato e lo spazio che un tempo vedeva sorgere lì le baracche delle donne, a cui oltre a tutte le sofferenze che vivevano gli uomini spesso venivano anche inferte ulteriori umiliazioni e violenze, anche sessuali.

Mentre sfilavo cantando Bella Ciao ho ripensato a tutto questo, al generale sovietico punito atrocemente per aver tentato la fuga da quel luogo di orrore insieme ai suoi uomini, il “generale di ghiaccio”, ucciso facendolo congelare. Ho pensato a quelle circa 6.000 persone italiane deportate qua e a tutte le altre persone, di qualsiasi altra nazionalità.

In questa giornata carica di emozione, in cui si sono tenute le celebrazioni solenni per l’80° anniversario della liberazione del campo, ho sentito il peso della storia sulla pelle. Mauthausen non è solo un luogo, è un grido che attraversa il tempo. Quei furono deportati prigionieri politici, ebrei, rom, sinti, omosessuali, testimoni di Geova, uomini e donne provenienti da tutta Europa.

Ogni Paese, qui, ha un monumento ai caduti, perché a Mauthausen trovarono morte atroce persone di tantissime provenienze diverse. Trovarsi qui, oggi, insieme alle studentesse e agli studenti, ci impone di non dimenticare e di far sì che quella Liberazione che avvenne 80 anni fa non finisca mai: una liberazione dall’odio, dalla discriminazione, dall’antisemitismo, dal razzismo, dall’omofobia, dall’abilismo.

Mauthausen è un monito indelebile, infinito, e tale deve rimanere.