“I cancelli di Auschwitz si sono chiusi ma i pregiudizi verso Rom e Sinti sono gli stessi”

Questa frase è stata pronunciata da una ragazza che vive a Pisa, che è cresciuta e che ha studiato a Pisa. Una ragazza rom che però, per paura di essere discriminata e non accettata, per anni non ha detto fino in fondo la verità su se stessa, sulle sue origini.

La deportazione e lo sterminio di Rom e dei Sinti, per anni, sono stati per anni accompagnati dalla vergogna del silenzio, il Porrajmos è stata una memoria negata.

Questo perché l’antiziganismo, il razzismo verso quelli che venivano e vengono chiamati “zingari”, era ed è una delle forme di razzismo più diffuse in Italia. Furono ben 500.000 i rom e i sinti sterminati dai nazisti, 23.000 dei quali soltanto nel campo di Auschwitz-Birkenau. Almeno metà di loro erano bambine e bambini, molti dei quali usati da Mengele per i suoi orrendi esperimenti.

Non possiamo tollerare la discriminazione della Memoria: l’orrore della deportazione e dello sterminio dei rom e dei sinti va raccontato per dire forte e chiaro MAI PIÙ ed è proprio quello che abbiamo voluto fare oggi al Memoriale delle Deportazioni di Firenze, aprendo proprio con questa delle iniziativa il nostro ciclo di appuntamenti per celebrare il Giorno della Memoria.

Voglio ringraziare, davvero di cuore, il Professor Luca Bravi, uno dei massimi studiosi di Porrajmos, che, come Professore delll’Università di Firenze, Dipartimento FORLILPSI, ha portato avanti il progetto europeo Tracer, di cui ho oggi abbiamo proiettato il docu-film “Memorijako drom-memory track” (tracce di memoria) coinvolgendo ragazze e ragazzi rom, sinti, ma anche non rom e non sinti, facendoli anche visitare il campo di Auschwitz e toccare con mano quell’orrore.

Oggi, ascoltando le testimonianze di queste ragazze e di questi ragazzi, mi sono commessa più volte pensando a come abbiano dovuto imparare, fin da piccole e piccoli, a difendersi da pregiudizi e stereotipi incomprensibili per loro, come ci ha raccontato Noell, un bambino, oggi un ragazzo, sinto, che oscilava tra l’essere considerato l’amichetto figo che poteva procurarti gratis i biglietti del Lunapark, e il bambino zingaro che poteva rubarti la merenda.

I racconti che ho ascoltato oggi non me li tolgo dalla testa perché non è giusto, è doloroso, che una persona non possa dire tutta la verità su di se stessa e sulla propria famiglia. Se oggi abbiamo iniziato il nostro ciclo di appuntamenti sulla Memoria parlando del Porrajmos è anche e anche soprattutto perché nessuna bambina e nessun bambino venga più chiamato zingaro. Perché ogni ragazza e ogni ragazzo possa raccontare chi è senza più temere. Per sconfiggere con la cultura, con la conoscenza, quei pregiudizi e quegli stereotipi che hanno distrutto la vita, e continuano a distruggerla, di migliaia di Rom e Sinti.